preludio

Ho sempre pensato che le immagini che in certe circostanze nascono in noi non ci appartengano.

Ci sono state date e noi abbiamo il solo compito di dare loro corpo, di trovare la miglior soluzione in termini di forma, garantendo il più possibile una precisa aderenza all’intuizione originale.

Mantenere questa fedeltà, questa onestà, non è facile distratti come siamo dalla seduttiva attrazione esercitata da soluzioni più facili e mondane. Ogni immagine richiede uno sforzo, dei tentativi a volte falliti, fino a trovare la giusta forma. A volte ci fermiamo troppo presto, a volte andiamo troppo oltre, si deve trovare la giusta misura.

Le immagini, quando compiute, se funzionano determineranno tracce di memoria.  Come hanno abitato in noi, abiteranno anche chi ha saputo accoglierle. Ci sono anche tanti fuochi fatui che si spegneranno presto. Il processo di decantazione ne metterà in luce la vera natura. Quando autentiche, queste immagini, possono riaffiorare anche dopo molto tempo, sollecitate dal nostro incontro con ulteriori immagini con cui creano una risonanza.

Non è mai una questione di primato, ma semmai un fatto positivo che conferma l’intrinseca potenzialità di un’immagine, il suo valore collettivamente condivisibile. Abbiamo spesso contatti con sfere a cui non solo noi possiamo accedere, è quindi naturale il verificarsi di continue coincidenze apparentemente inspiegabili.

Sfere in cui le idee persistono autonomamente come presenze. Le immagini sono anche cariche di elementi che si legano a precisi momenti della nostra esistenza, conservano pertanto una carica emotiva o di affezione.

Esiste una dimensione dell’arte quindi che ha più a che fare con un aspetto immateriale, una dimensione diversa dalla conservazione fisica dei manufatti, ed è questa la dimensione che mi interessa maggiormente indagare.