biografia

Francesco Voltolina nasce a Ravenna nel 1960. Nel 1978 a Milano si iscrive all’Accademia di Belle Arti di Brera, dove frequenta il corso di scultura tenuto da Alik Cavaliere e consegue il diploma nel 1982. A New York, nel 1984, grazie a Alik Cavaliere conosce Mario Merz, per il quale farà da assistente nella realizzazione di alcune opere che verranno esposte alla galleria Sperone Westwater. Nel 1987 intraprende l’attività didattica, sempre a Brera, come assistente di Luciano Fabro. Nel 1989, con Mario Airò, Liliana Moro, Stefano Dugnani, Giuseppina Mele, Andrea Rabbiosi, Bernhard Rüdiger, Antonello Ruggeri, Matteo Donati, Adriano Trovato, è tra i fondatori dello “Spazio di Via Lazzaro Palazzi”. Da subito il gruppo conduce una ricerca quanto mai radicale che vede nella realizzazione di “Avanblob“, la mostra-opera collettiva presentata nel 1990 alla galleria Massimo De Carlo di Milano, il momento più significativo. I lavori esposti si trovano a concorrere alla realizzazione di un unico disegno, un’opera installazione complessa che verrà venduta ad un unico collezionista, con la clausola di non essere smembrata. Il gruppo di Lazzaro Palazzi sarà riconosciuto come una delle esperienze collettive più significative dell’arte italiana di quegli anni.

Oltre ad opere più complesse sul piano costruttivo, come la campana esposta nella personale allo Spazio di Lazzaro Palazzi del 1990, Francesco Voltolina lavora assiduamente assemblando oggetti del quotidiano. L’opera esposta ad “Avanblob” era infatti stata realizzata con oggetti di casa: un cuscino cilindrico e alcuni piatti davano vita ad una scultura dal vago aspetto antropomorfo. La funzione di queste opere costituiva un modo per rispondere all’esigenza di superare stati d’animo di tensione, esternando in modo immediato immagini interiori. La ricerca sempre più legata alla dimensione domestica porta Francesco Voltolina ad essere invitato da Alison Sarah Jacques a “Domestic Violence”, una mostra collettiva tenuta nell’abitazione di Gio Marconi nel 1994; in quell’occasione il suo lavoro si confronterà con quello di artisti quali Damien Hirst, Maurizio Cattelan, Martin Creed, Adam Chodzko, Stefano Arienti, Mat Collishaw, Massimo Bartolini, Jeanne Dunning, Anya Gallaccio, Abigail Lane, Pipilotti Rist, Gillian Wering, Jane and Louise Wilson, ecc. Durante la fase di allestimento, Martin Creed verrà ospitato da Francesco Voltolina per alcune settimane, una circostanza che darà avvio ad una amicizia che si protrarrà anche successivamente generando numerose occasioni di incontro, scambio reciproco e confronto. A “Domestic Violence” Francesco Voltolina espone la sua lavatrice con lo sportello aperto e la centrifuga in movimento, un oggetto insolito e per certi versi minaccioso. La lavatrice dopo la mostra tornerà a svolgere la sua funzione originaria e non verrà volutamente conservata. Così, nelle intenzioni dell’autore, alla dinamica del ready-made si sostituisce l’idea di impermanenza dell’opera. Realizzare un’opera d’arte non significa necessariamente separare un oggetto d’uso dal mondo, ma semplicemente permettergli di apparire come configurazione temporanea. E questa configurazione può avere confini sempre meno definiti. In alcune occasioni gli oggetti assemblati vengono accostati ad elementi già presenti nello spazio domestico, diventando parte di un sistema più complesso, come nell’opera “Il Campanile di Marcellinara”, realizzata nel 1993 nell’abitazione di Alison Sarah Jacques. La specificità dell’opera non è più quella di resistere al tempo incarnata in un oggetto, ma di persistere come memoria o come esperienza.

In una fase successiva, la ricerca di una reale comunicazione con il pubblico, diventa l’elemento primario della ricerca. L’ obiettivo viene raggiunto attraverso il coinvolgimento diretto dello spettatore, come nel caso delle “sculture umane” realizzate in collaborazione con Marco Vaglieri e proposte in diversi contesti, non necessariamente legati all’ambito artistico. Nel 1994 Eva Marisaldi e Francesco Voltolina danno avvio al progetto “Esercizi facoltativi”, un laboratorio presso l’Ex Ospedale Psichiatrico Paolo Pini di Milano, la cui funzione era quella di dare l’opportunità agli ospiti della struttura di realizzare opere per l’area verde del Pini. Nell’attività del laboratorio, tra gli esercizi proposti al gruppo di lavoro vi sono anche le “sculture umane” che traggono la loro origine da una tecnica usata da Maurizio Andolfi in terapia familiare, chiamata appunto “scultura della famiglia”. Lo spostamento di contesto di questa pratica, dalla terapia all’esperienza artistica, permette un ribaltamento dei ruoli, il visitatore diventa elemento attivo capace di definire immagini in prima persona. Alla pratica artistica viene così restituita la possibilità di essere un linguaggio condivisibile e avvicinabile da tutti. Un’esperienza questa, comune anche ad altre opere realizzate in seguito, che appartiene all’ambito dell’arte relazionale teorizzata in quegli anni da Nicolas Bourriaud.

Il nuovo indirizzo porterà Francesco Voltolina a sviluppare numerose collaborazioni con altri artisti della sua generazione, quali Emilio Fantin, Alexander Brenner, Marco Paternostro, Federico Tanzi Mira, il gruppo Magma Teatro di Milano, e a condividere con loro la realizzazione di performance e lavori collettivi. L’opera, non più esperienza auto-affermativa, diventa veicolo di contenuti condivisi, nati all’interno di una relazione. Ne è un esempio l’installazione “Oltre il cammino loro del tuo”, realizzata con Ettore Casella alla Galleria Comunale d’arte Moderna di Bologna per la mostra “Out of Order, Aperto ‘95”. Il lavoro consiste nella ricostruzione di una palestra da free climbing, realmente utilizzabile, messa a disposizione del pubblico. Ogni presa è affiancata da una frase di Ettore Casella, all’epoca ospite presso l’ex Ospedale Psichiatrico Paolo Pini di Milano. Sono “frasi oracolari” rivelate ad Ettore da una pietra presente nell’area verde della struttura che alcuni utenti psichiatrici ritenevano avesse la capacità di parlare. Le frasi scelte rivelavano un’indiscussa capacità poetica e si offrono come possibilità di accesso ad una sfera di pensiero differente.

Nel 1996 Francesco Voltolina e Marco Vaglieri, per far fronte alle precarie condizioni economiche dovute alla crisi, decidono di condividere un appartamento in Viale Piave a Milano; diventerà un luogo di passaggio per molti artisti, tra i quali Alexander Brenner, l’artista russo che di lì a poco avrebbe fatto scatenare non poche discussioni con il suo simbolo del dollaro tracciato su un quadro di Malevich esposto allo Stedelijk Museum di Amsterdam. Con Brenner, Fantin e alcuni altri amici nel 1996 presentano “Concert Show de Noël” dell’ipotetico gruppo “Old Werthers International Group” eseguito con i musicisti appesi alle pareti della galleria Le Faubourg di Strasburgo (F). Nel 1997 insieme a Brenner fanno un viaggio prima a Roma e poi a Pagliano, dove si sta svolgendo progetto “Oreste 0 (zero)” organizzato da Cesare Pietroiusti, contribuendo con il racconto delle loro esperienze al confronto tra gli artisti presenti.

Il lavoro sviluppato negli anni seguenti abbraccerà anche tematiche quali la salvaguardia ambientale e il rapporto dell’uomo con la natura. Ne è un esempio un lavoro site-specific del 1997, realizzato a Castel San Pietro Terme in occasione della mostra “Officina Italia La Rete Emilia Romagna” curata da Renato Barilli. Due arnie vengono installate nell’area adiacente alla sala espositiva, al loro interno sono collocati due piccoli microfoni collegati ad un impianto di amplificazione mentre due casse, installate nello spazio, diffondono in tempo reale suoni e rumori di ciò che avviene all’interno delle arnie. L’installazione viene presentata nel periodo estivo, all’innalzarsi della temperatura esterna le api, per salvaguardare la struttura dei favi e l’incolumità delle larve, portano acqua all’interno delle arnie che fanno evaporare con il battito delle ali. L’amplificazione del battito assume in tal modo la funzione di strumento di monitoraggio e l’evento sonoro che ne scaturisce quello di “allarme” rispetto ai fenomeni di riscaldamento globale. L’opera, che nasce dall’idea di creare una scultura capace di espandersi e di contrarsi, grazie alla sua interazione con l’ambiente circostante, nella sua apparentemente impercettibile sensibilità, era in grado di tramutare il frenetico battito delle ali in un suono potente, quasi allarmante.

Successivamente la ricerca di Francesco Voltolina indagherà anche la sfera onirica, come nell’opera “La porta della femmina oscura”, una installazione site-specific realizzata nel 1998 alla galleria Neon di Bologna, rielaborazione-ricostruzione di un sogno ricorrente che l’autore faceva da bambino. Nell’installazione l’intera facciata della galleria viene modificata, la vetrina viene sostituita da un muro bianco con al centro un foro circolare, unica via d’accesso allo spazio. Una volta entrati, la sola immagine offerta è quella dell’oculo attraverso il quale la luce esterna penetra lo spazio. Immersi nel buio, l’attenzione si focalizza su quanto possiamo ascoltare: la registrazione del canto emesso da un’ape regina, un suono molto toccante, che può ricordare il pianto di un bambino. Dice l’autore: “Usciti dal mondo, potevamo finalmente osservarlo da un luogo protetto, in cui il tempo sembrava potersi dilatare o cessare temporaneamente il suo incedere senza fine; per poi di nuovo rivenire al mondo”.

Il linguaggio e la ricerca di Francesco Voltolina evolutosi attraverso lo sviluppo di collegamenti con ambiti disciplinari diversi quali la psicologia, l’antropologia, l’ecologia, ma anche il disagio psichico, si indirizza oggi sempre più verso una visione olistica dell’arte, determinando una sua possibile differente funzione rispetto al solo rapporto con il mercato.